Il social network prima del Wi-Fi e i calciatori lunari

Prima che ci fossero le videochiamate, le chat, i post, i commenti e gli stati online, esisteva una sola piattaforma che davvero metteva in connessione le persone: il calcio balilla.

Un rettangolo di legno, quattro stecche di ferro, e un pallino bianco che rimbalzava come una scintilla. Bastava quello per conoscersi, per sfidarsi, per diventare amici o nemici, o entrambe le cose, nel giro di dieci gol.

Era il social network delle epoche senza rete, il bar senza orari, la sala giochi di ogni infanzia.

Lì si parlava con le mani, si rideva con la pancia e si comunicava con lo sguardo. Senza filtri, senza like, ma con una sincerità che oggi sembrerebbe rivoluzionaria.

E poi, ogni tanto, il destino si ricorda delle sue promesse.

Nel 2000, una ragazza appena laureata in Architettura, Paola Silva Coronel, scrisse a una rivista cartacea, Casamia:

«Cerco calciobalilla in legno, con gettoni. Buono stato.»

Lo immaginava al centro della casa che aveva appena trovato, terrazzo compreso, in zona Sempione. Un giorno ci avrebbero giocato anche i figli.

Ma il calciobalilla non arrivò mai.

La rivista smise di esistere. Il sogno finì tra le pieghe della vita: un matrimonio, due figli ormai grandi, un numero di telefono che, incredibilmente, restò lo stesso.

Finché, venticinque anni dopo, su un lago tranquillo del Garda, una signora in pensione, Laura, si mise a riordinare la soffitta. Tra le mani, un vecchio numero di Casamia, aprile 2000.

Sfogliò.

Lesse quell’annuncio.

E qualcosa, nella memoria del mondo, si riaccese.

Laura aveva in casa un calciobalilla di legno, un Longoni d’epoca, rosso e blu, con le manopole in ferro e la fessura per i gettoni ancora intatta. Voleva darlo via. Quell’annuncio sembrava scritto per lei.

Ha fatto la chiamata. Paola ha risposto.

E, come in certi romanzi perfetti, il sogno si è avverato.

Non è mai troppo tardi.

Oggi quel calciobalilla sarà nel suo studio-laboratorio, condiviso con studenti e colleghi del Politecnico, per continuare a generare storie e sorrisi.

🎡 Noi, quel sogno, l’avevamo portato in Fiera.

📍WMF – We Make Future, Bologna 2023.

Nel nostro stand c’era un calciobalilla donato da Roberto Sport, la storica azienda italiana che ha fatto la storia di questo gioco. Ma non era un tavolo qualsiasi.

I giocatori non erano uomini: erano astronauti. Con tute spaziali cucite a mano da una mamma, la mia, nelle notti prima dell’allestimento.

Una madre vera, di quelle che non fanno rumore, ma sanno rendere possibili le magie.

Quel calciobalilla ha fatto giocare professionisti, studenti, creativi, nerd, famiglie intere.

Ha unito generazioni. Ha fatto ridere.

Ha parlato — senza connessione — a tutti.

Perché certe connessioni autentiche non passano da un cavo. Passano da un colpo secco, un “Ce l’ho io il portiere!”, un pallino lanciato senza sapere se finisce in rete o fuori. Ma sempre in buona compagnia.

🌍 In un mondo che corre digitale, un calciobalilla può ancora fermare il tempo.

⚪⚫ E tu, il tuo calciobalilla dove l’hai lasciato?

Io il mio — quello lunare, con gli astronauti e le tute cucite a mano da una madre innamorata — l’ho lasciato in un vecchio ufficio, dietro una porta chiusa da altri, in un giorno di febbraio che sapeva di smobilitazione.

Non è stato capito, come tante cose con un cuore.

Ma si sa: per riconoscere la magia, bisogna averla vista almeno una volta.

E poi, diciamolo, serve fegato per sfidarsi davvero nel lavoro, come ad un calciobalilla.

Non tutti sono pronti a giocarsi la lealtà, i nervi e l’anima su un campo di plastica verde.

Qualcuno preferisce chiudere la porta.

Io preferisco tirare un colpo secco. E vedere dove finisce la pallina.

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