Tutta colpa della AI

Nella mia esperienza quotidiana, sono ormai innumerevoli gli esempi di organizzazioni che si sgretolano davanti all’impossibilità di governare moli di dati crescenti e, di conseguenza, rinunciano a percorsi di automazione e intelligenza artificiale. La motivazione ufficiale è quasi sempre legata alla complessità tecnologica o ai costi. Ma la verità, spesso inconfessabile, è un’altra: la recondita paura che l’adozione di sistemi oggettivi e data-driven faccia emergere in modo impietoso incapacità di leadership e un’arretratezza culturale profonda. In questo scenario, non basta saper maneggiare il prompt di Gemini o ChatGPT per poter parlare di vera trasformazione digitale.

I Progetti di IA Falliscono. E se non fosse colpa degli algoritmi?

Si fa un gran parlare di intelligenza artificiale, di algoritmi rivoluzionari e di futuri iper-tecnologici. Eppure, una narrazione parallela, spesso sussurrata nei corridoi aziendali e a volte gridata dai titoli dei giornali, racconta un’altra storia: quella di un numero incredibilmente alto di progetti di IA che falliscono. Le stime variano, ma alcune fonti parlano di percentuali che si aggirano tra il 50% e l’80%. Un dato che fa riflettere.

Ma qual è la vera causa di questi insuccessi? Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, il problema raramente risiede nella fragilità della tecnologia in sé. L’intelligenza artificiale non è un’entità astratta e capricciosa che decide di non funzionare. Il più delle volte, il fallimento è profondamente, e forse scomodamente, umano. Le radici del problema sono da ricercare in due aree critiche, spesso trascurate nell’entusiasmo per la nuova tecnologia: la gestione della conoscenza aziendale e la cultura manageriale.

1. Il Tesoro Sepolto: Dati e Knowledge Base fuori controllo

L’intelligenza artificiale, in particolare il machine learning, è vorace di dati. Dati di qualità, strutturati, puliti e accessibili sono il carburante essenziale per qualsiasi modello che si voglia allenare. Qui emerge il primo, grande ostacolo. Molte aziende, anche quelle strutturate e di successo, si scoprono impreparate a questa sfida.

Per anni, i dati sono stati accumulati in silos stagnanti, fogli di calcolo dimenticati, database obsoleti e sistemi gestionali che non comunicano tra loro. Il risultato è un patrimonio informativo frammentato, inconsistente e spesso inaffidabile. L’implementazione di un progetto di IA scoperchia questo “vaso di Pandora”, rivelando l’incapacità cronica di governare la propria base di conoscenza.

Lanciare un progetto di IA senza aver prima messo ordine in questo caos è come costruire una cattedrale su fondamenta di sabbia. Gli algoritmi, per quanto sofisticati, non possono fare miracoli: se alimentati con dati spazzatura (“garbage in, garbage out”), produrranno risultati inaffidabili, portando il progetto a un inevitabile naufragio. La colpa non è dell’IA che “non capisce”, ma dell’organizzazione che non è stata in grado di fornirle la materia prima essenziale per apprendere.

2. Lo Specchio della Verità: La Ritrosia del Management

Il secondo motivo, forse ancora più radicato e difficile da scardinare, è di natura culturale e riguarda la leadership. L’intelligenza artificiale introduce un elemento dirompente nel processo decisionale: l’oggettività. Un sistema basato sui dati offre analisi imparziali, previsioni basate su evidenze e Key Performance Indicator (KPI) misurabili che non lasciano spazio a interpretazioni di comodo.

Questo specchio oggettivo può essere terrificante per una classe manageriale abituata a navigare a vista, a prendere decisioni “di pancia” o a basarsi su un’esperienza non sempre validata dai fatti. La paura di essere misurati, di vedere le proprie intuizioni smentite dai numeri e di dover giustificare le proprie strategie sulla base di dati concreti genera una resistenza profonda, spesso inconscia.

Un sistema di IA ben implementato non è un oracolo, ma uno strumento potentissimo che può illuminare inefficienze, identificare aree di miglioramento e, in definitiva, mettere in luce la reale capacità di un manager di affrontare le sfide e vincerle. Affidarsi ai dati significa accettare un nuovo livello di trasparenza e di accountability. Significa essere pronti a mettere in discussione lo status quo e, a volte, ammettere di aver sbagliato. Per molti, questo è un prezzo troppo alto da pagare.

Il fallimento di tanti progetti di intelligenza artificiale non è dunque un verdetto sulla tecnologia, ma un’impietosa diagnosi sullo stato di salute organizzativo e culturale di molte delle nostre aziende. Prima di investire milioni in piattaforme complesse e team di data scientist, la vera domanda che ogni leader dovrebbe porsi è: “Siamo pronti a fare ordine nel nostro caos informativo? E, soprattutto, siamo pronti a guardarci allo specchio e a farci guidare dalla verità che i dati ci mostreranno?”.

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